Alfonso
fu un bambino che cominciò ad imparare tutto,
mostrando una incredibile prontezza nell'apprendere. Il padre cominciò a
riporre su di lui le speranze del prestigio della
sua famiglia. Donna Anna, invece, provvedeva alla educazione
religiosa del piccolo. Anzi, Alfonso era come immerso nella
pietà religiosa familiare; più tardi ricorderà: Quanto di bene riconosco in me nella mia
fanciullezza, e se non ho fatto del male, di tutto sono tenuto alla
sollecitudine di mia madre. Di Alfonso fanciullo
si ricorda soprattutto il seguente episodio che denuncia una straordinaria
sensibilità. Durante un passeggiata con i compagni
al bosco, sotto la guida dei Padri Filippini, dovette cedere alle insistenze
dei compagni perché giocasse con loro a bocce con le arance. Lui, che non
sapeva giocare, vinse trenta partite di fila e i soldi scommessi. Al che uno
degli avversari si adirò, lo ingiuriò e condì il tutto con una sonante parola
volgare. Alfonso arrossì, restituì il denaro dicendo: Perché offendere Dio
per tanto poco? E si allontanò silenzioso tra gli alberi. I compagni
continuarono i loro giochi. Quando fu l'ora del ritorno
cercarono di lui; lo trovarono assorto in preghiera innanzi a una immagine
della Madonna.
Colui che lo aveva amareggiato scoppiò in pianto: Ho offeso un santo!
A don Giuseppe stava molto a cuore che suo figlio imparasse dai migliori
maestri. E doveva imparare tutto: lingua italiana e latina dal celebre G. B.
Vico, filosofia, scienze, poesia, pittura e musica
col valente maestro Greco. E Alfonso mostrava una straordinaria versatilità
nella pittura e nella musica, soprattutto.Tra i suoi dipinti ricordiamo il
"Crocifisso"e la "Madonna".
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Suo padre,
don Giuseppe, lo seguiva con simpatia, ma anche con severo controllo. Alfonso
non aveva molti svaghi: la sua giornata era troppo piena.
Ma giocava volentieri a carte con alcuni coetanei di
nobile famiglia. Il padre gli aveva concesso un'ora di gioco alla sera e ne aspettava con impazienza il ritorno.
Alfonso alcune volte fece ritardo. Una sera, vedendo che Alfonso ritardava e
volendo dargli una lezione, tolse dal tavolo del figlio tutti i libri e lo
coprì di tanti mazzetti di carte da gioco. Alfonso ascoltò con umiltà la
sfuriata: Questo è il tuo studio, e questi sono gli autori che ti fo ritrovare!
Il versatile ingegno del giovane Alfonso, stimolato dalla severa esigenza
paterna, ottenne clamorosi frutti: a soli sedici anni di età, il 21 gennaio
1713, Alfonso fu proclamato dottore in legge. Un fatto di alto prestigio per
i de Liguori. Non potendo per divieto di legge
esercitare prima dei vent'anni, il giovane Alfonso si dedicò alla vita
sociale e religiosa con intensità.
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Perfezionò i suoi studi, interveniva ai vari circoli culturali presso
eminenti giuristi, ove si trattava di tutto. Spinto dall'orgoglio del padre frequentò variamente la vita dell'alta società con i
suoi vezzi e i suoi incanti, salotti e teatro; venne a contatto col mondo
politico, pieno di intrighi e compromessi. Ma non
mancò di mescolarsi al popolo minuto e di dedicarsi alle opere di assistenza
agli ammalati e dei poveri. Frequentava assiduamente le varie Congregazioni:
quella dei Filippini, quella dei nobili, quella della Misericordia;
partecipava puntualmente agli appuntamenti. Don Giuseppe si ben presto in
azione per trovare una degna fidanzata al proprio figlio, sul quale aveva
riposto le speranze del futuro della sua casa. Ma
tanta sollecitudine non trovava adeguato riscontro in Alfonso. Tra i vari
partiti decise per la figlia del principe di Presicce
Francesco de Liguori: Teresina, figlia unica con
una ragguardevole eredità, non parente. Quando la cosa sembrava ormai fatta,
la madre della fidanzata diede alla luce un maschio. Povero don Giuseppe!
Vedere svanire così l'eredità! Gli si raffreddò l'interesse di accasare il
figlio... e si raffreddò sensibilmente verso i principi di Presicce. La faccenda divenne ancora più incresciosa
quando, sei mesi dopo la nascita, il bambino morì e don Giuseppe si fece di
nuovo avanti. Tale comportamento contrariò molto i principi di Presicce e in special modo
Teresina, la quale protestò vivacemente: Quando
era vivo il mio fratellino, io non ero buona per Alfonso de Liguori; ora che è morto, sono buona. Si vede che si vuole la roba e non me. Bastantemente ho conosciuto cosa
sia il mondo. Non voglio più vivere così. Voglio sposarmi con Gesù Cristo! Così
disse così fece. Ma questo pasticcio non dispiacque certo al
Alfonso il quale riuscì a scansare in vari modi anche un altro
fidanzamento che il padre gli aveva preparato con la figlia del duca di Presenzano. Le cause patrocinate da Alfonso erano state
tutte coronate da immancabile successo, e il suo nome era citato nei tribunali
e nei pubblici ritrovi insieme a quello dei più
bravi giuristi e oratori forensi.
Nel1723 gli fu offerta la difesa di una lite sorta tra il Granduca di Toscana
e il duca Orsini di Roma, per rivendicare una tenuta di ingente
valore (cinque-seicentomila ducati). Il duca Orsini
affidò la sua difesa ad Alfonso che si preparò con puntigliosità. Nel giorno
del dibattito l'aula del tribunale era insolitamente gremita. La lite aveva
suscitato molto rumore. Alfonso parlò con la sua consueta lucidità, mostrando
una sbalorditiva padronanza nel labirinto delle leggi sui diritti feudali. La
sua parola fu coronata da un fragoroso applauso, che faceva ben sperare nel
successo. Poi la doccia fredda, gelata anzi: Le vostre argomentazioni - ribatté con calma il suo
avversario - si basano sul falso. Un
documento da voi citato ha una clausola che vi dà completamente torto.
Eccola!
La clausola non chiariva affatto la questione, ma l'interpretazione a
sfavore di Alfonso fu accolta senza riserve dai giudici: a sostenere col suo
influsso il Granduca di Toscana era sceso in campo nientemeno che
l'imperatore d'Austria. Alfonso umiliato lasciò immediatamente l'aula. Alcuni
storici di S. Alfonso hanno cercato di spiegare questa intricata vicenda.
Oggi si è convinti che Alfonso avesse ragione. Ma la storia è che egli venuto
a contatto in modo brusco con una sconfitta bruciante, si decise: Mondo, mondo, ti ho
conosciuto; tu non fai più per me. Addio, tribunali non mi vedrete
mai più. I tre anni che seguirono la sua decisione furono caratterizzati
da aspri conflitti con il padre, con gli amici e col bel mondo che aveva
lasciato. Fu il vescovo di Troia, fratello della moglie di don Giuseppe a
vincere le resistenze e l'orgoglio del padre: Lasciatelo andare; Iddio lo
chiama, il vostro dovere è di non resistere più alla volontà manifestata da
Lui.
La riconciliazione spirituale col figlio don Giuseppe la raggiunse qualche
tempo dopo, nel 1729, quando passando davanti alla chiesa dello Spirito Santo
- dove predicava Alfonso già sacerdote - decise di entrarvi. Uno spettacolo
commovente si presentò ai suo occhi. Tutti pendevano
dalle labbra del giovane sacerdote e molti occhi erano pieni di lacrime. Il
suo stesso cuore fu toccato dalla parola del figlio. Tornato a casa lo abbracciò di tutto cuore e lo benedisse. I tre
anni prima di ricevere il sacerdozio Alfonso li aveva
impiegati soprattutto nella catechesi ai piccoli, ai poveri e agli ignoranti.
Quando fu consacrato sacerdote il 21 dicembre 1726, Alfonso aveva già le idee
chiare: essere sacerdote per la povera gente che era immersa nella completa
ignoranza religiosa nonostante la città di Napoli brulicasse di preti e
abati.
I rioni più popolari lo ebbero come missionario instancabile. I centri della
malavita napoletana subirono l'influenza risanatrice della sua opera. C'era
sempre molta gente intorno al suo confessionale, da dove molti ritornavano
convertiti. Erano frequenti i casi di delinquenti che si ravvedevano, anzi
divenivano i suoi migliori discepoli e collaboratori. Pietro Barbarese e Luca Nardone ne
furono i casi più clamorosi. Alfonso aveva cominciato ad adunare di sera
presso alcune cappelle della città ogni sorta
di gente del popolo: scugnizzi, saponari, muratori, barbieri, falegnami ed
altri. Qui li istruiva e li animava alla vita cristiana ed
alla penitenza. Quei poveri erano felici di essere oggetto di tanta
attenzione, il fervore di queste adunanze era salito alle stelle e molti si
erano dati a vita penitente, forse troppo, tanto che Alfonso una sera dovette
riprenderli per alcuni eccessi rigorosi. In quei tempi difficili con le
ventate rivoluzionarie che arrivavano anche a Napoli, il governo aveva
sguinzagliato per le strade sbirri e spie ai quali
queste adunanze apparvero assai sospette: tanto da denunciarle alla polizia.
Anche alcuni sacerdoti della città osservarono di nascosto questo miscuglio
di gente per cogliervi "eresie" da condannare. La conclusione fu
che Napoli vide ambedue le corti (ecclesiastica e civile
) intervenire contro queste "sette".
Ma Alfonso chiarì subito ogni equivoco col cardinale
e col re. Anzi, capita la cosa, il cardinale diede particolare impulso a
quest'opera. Ebbe così inizio l'opera delle "Cappelle Serotine",
che divennero vere scuole popolari di dottrina cattolica e di apostolato
familiare. Sin dal 1724 Alfonso si era iscritto alla missione di Propaganda,
perché sentiva impellente l'urgenza di evangelizzare. Le missioni al popolo
furono lo strumento che lo portò a diretto contatto con la gente bisognosa di
evangelizzazione. Predicò molte missioni con la Congregazione di Propaganda,
poi scelse una strada ancora più dura. Nel 1729 entrò come convittore nella
Congregazione della Sacra Famiglia, detta dei Cinesi, fondata dal P. Matteo
da Eboli. Alcuni di questi membri erano partiti per evangelizzare la Cina e
le Indie; a Napoli era stato aperto un collegio di ragazzi cinesi in attesa
di diventare sacerdoti evangelizzatori della loro patria.
Nel 1731 un grave terremoto danneggiò alcune zone
della Calabria della Puglia e della Basilicata.
Diverse compagnie di missionari si recarono in quei
luoghi per portare sostegno e conforto alle popolazioni colpite. La
compagnia, cui partecipò Alfonso, prese la via della Puglia. Fu una campagna
intensissima.
A causa delle molte fatiche sostenute, Alfonso cadde seriamente ammalato e
per ordine dei superiori dovette concedersi un po’ di riposo.
In giugno, superata la malattia che lo portò
alle soglie della morte, fu inviato a riposarsi
fuori Napoli, ad Amalfi. Vi andò per via mare. Ma la
piccola imbarcazione sbattuta dai venti e dal mare impetuoso lo sbarcò sulla
spiaggia di Minori.
Il Vicario di Scala gli consigliò come luogo più
tranquillo, raccolto e dall'aria salubre, l'antico romitorio di S. Maria dei
Monti. Con lui c'erano altri cinque missionari bisognosi di rinfrancare
le loro forze. Ben presto quella piccola chiesa, dove si venerava una statua
della Madonna che oggi è chiamata Regina Redemptoristarum,
si affollò di rozzi pastori e numerosi montanari.
Alfonso al contatto con quelle persone semplici, buone ma abbandonate e prive
di ogni aiuto spirituale, cominciò a maturare un segreto disegno che poi Dio
tirerà fuori al momento giusto. Nel settembre dello stesso anno Alfonso
ricevette il segno di quella chiamata che sentiva dentro di sé.
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Suor Maria Celeste Crostarosa,
la grande mistica del monastero di Scala, gli comunicò la rivelazione avuta
dal Signore: "Ecco colui da me scelto per essere il fondatore di una
congregazione di sacerdoti che darà gloria al mio nome".
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Alfonso voleva rifiutare questo segno. Sentiva sì, quella chiamata, ma si poteva affidare alle visioni di
una monaca? Ritiratosi a Napoli, volle consigliarsi con i più illuminati
sacerdoti e dovette subire in questo periodo indicibile sofferenze e aspre
contrarietà da parte di amici e da parenti. Ma uomini di esperienza e di
spirito, come il vescovo di Castellammare di Stabbia mons. Tommaso Falcoia, lo spinsero ad ubbidire
a quella voce che essi riconoscevano venire realmente dall'alto.
Il 5 novembre, cavalcando un asinello, lascia definitivamente la città natale
alla volta di Scala, per seguire la vocazione di dedicarsi alla salvezza
delle anime, specialmente più abbandonate. Il 9 novembre nella cattedrale di
scala, alla presenza di due vescovi, mons. Guerriero di Scala e mons. Falcoia di Castellammare, e di molta gente il nuovo
Istituto iniziò il suo cammino.
Primi compagni di Alfonso furono alcuni sacerdoti di
grande spicco don Vincenzo Mandarini, don Silvestro Tosquez, don Gennaro Sarnelli,
don Pietro Romano, don Cesare Sportelli, don Giovanni Mazzini e il fratello
laico Vito Curzio.
Nella
preghiera e nella riflessione Alfonso preparò le Regole del nuovo Istituto.
Nella grotta di Scala, ove si ritirava a pregare e a far penitenza, gli
apparve più volte la Madonna in segno di conforto e di prezioso aiuto.
Da questo momento la vita di Alfonso diventa anche la storia dell'Istituto da
lui fondato, a parte la parentesi di tredici anni (1762-1775) come vescovo
della diocesi di S. Agata dei Goti.
La Congregazione fondata da Alfonso incontrò subito le ire e le persecuzioni
di chi non comprese e anche i contrasti interni di alcuni che non condivisero
le vedute di Alfonso, con conseguenti defezioni, tanto che ad
un certo punto Alfonso rischiò di restare completamente solo... Ma poi da
allora (1733) fino al 25 febbraio 1749, giorno in cui Papa Benedetto XIV
approvò le Regole dell'Istituto, fu un crescendo di fervore e di prodigiosa
espansione. L'apostolato della penna si affiancò all'attività missionaria
tanto cara ad Alfonso. Sin da giovane aveva fatto voto di non perdere mai
tempo. Pertanto ogni ritaglio di tempo che gli restava dal suo stressante ed
estenuante apostolato missionario, Alfonso lo dedicava allo scrivere. Quanto
ha scritto? Tanto. Tantissimo. Quando nel 1871 si trattò di elevare S.
Alfonso al grado di Dottore della Chiesa, il Papa Pio IX, al vedere schierate
sul tavolo le opere del Santo, esclamò pieno di meraviglia: Poveretto! quanto ha scritto! E qualcuno aggiunse subito: Santo
Padre, e quanto bene ha scritto! Con i suoi scritti fu in grado di far
teologia con colori sfavillanti e popolarità geniale agli analfabeti. Fu
quasi il maestro elementare religioso del popolo; ha nutrito i suoi lettori
con dogmi, teologia, ascetica, apologetica rinfrancandoli con un fiume di
citazioni e aneddoti.
Ha scritto di tutto. 111 opere, grandi e piccole. I sacerdoti lo hanno caro per la su Teologia Morale, un'opera
grandiosa dove sono consultati 800 autori e riportate 80.000 citazioni. Gli
scritti di Alfonso hanno spianato l'accesso al confessionale, hanno apportato
il sorriso invece dell'indignazione, il padre invece del patrigno... Per la sua dottrina Alfonso sarà proclamato Dottore
della Chiesa, Principe della Morale Cattolica, Patrono dei
Moralisti e Confessori.
Il popolo si è nutrito della dottrina e della spiritualità di Alfonso. E'
difficile trovare chi non ha letto o pregato con Le Visite al SS.
Sacramento e a Maria SS., La pratica di amar Gesù Cristo, Le
Massime Eterne, Le Glorie di Maria, L'apparecchio alla morte,
La via della salute, Del
gran mezzo della preghiera (file.zip) ecc... Alfonso da ragazzo
ricevette una seria preparazione musicale da uno dei più quotati maestri del
tempo, Gaetano Greco. Egli stesso ammise: la musica mi piace e da borghese vi
sono stato applicato. Del suo talento Alfonso diede un mirabile saggio nel
Duetto tra l'anima e Gesù Cristo composto ed eseguito
nel 1760. Il manoscritto originale fu rinvenuto nel 1860 al British Museum di Londra. Ma il
popolo ha amato Alfonso soprattutto per le sue meravigliose Canzoncine nella
quali ha trovato l'espressione più concreta della sua fede semplice e
profonda: Tu
scendi dalle stelle, Fermarono i cieli, Quanno nascette Ninno, O Pane del cielo, Fiori felici voi,
O fieri flagelli, Gesù mio con dure funi, O bella mia
speranza, Dal tuo celeste trono, Il tuo gusto...
Nel marzo 1762 gli arrivò dal Papa Clemente XIII la nomina a vescovo della
diocesi di S. Agata dei Goti. Questa volta non poté
sfuggirla. In precedenza aveva evitato inviti del genere, come quando il re
lo voleva arcivescovo di Palermo: Una delle grazie che il Signore mi ha
fatto, si é l'aver sfuggito il pericolo di essere
vescovo, pericolo che difficilmente avrei evitato stando a casa mia! Ora si
sentiva perduto. Cadde persino in grave infermità. Ma:
volontà del Papa, volontà di Dio, e partì per Roma. Fu consacrato Vescovo dal
cardinale Rossi con grande solennità alla presenza di numerosi fedeli. A Roma
suscitò, in tutti, un'impressione straordinaria per la sua umiltà e povertà.
Ammesso
in udienza dal Papa, così lo supplicò: Beatissimo Padre, giacché vi siete degnato di farmi vescovo, pregate Dio che non mi perda
l'anima. Fece il suo ingresso nella piccola diocesi in tutta umiltà: il
cappello da cerimonia solenne (galero) lo fece prelevare dalla tomba del suo
predecessore... l'anello episcopale era incastonato da una vistosa
pietra ricavata dal fondo di un bottiglia... una modesta carrozza, che
qualche tempo dopo vendette per aiutare i poveri.
Da buon avvocato, qual era stato, migliorò sensibilmente tutto il patrimonio della
diocesi, che servì poi ottimamente nel periodo della disastrosa carestia che
colpì tutto il Regno di Napoli durante il suo episcopato.
Durante la carestia in tutto il Regno succedevano cose terribili: tumulti,
sedizioni, assalti a magazzini, furti, rapine, omicidi..
Il vescovo Alfonso mise a disposizione tutte le provviste. Esaurite queste
vendette ogni cosa preziosa del suo palazzo e quanto possedeva: anche
carrozza e cavallo. Sopraffatto e curvato dalla grave infermità (doppia
artrosi: lombare e cervicale) più volte Alfonso inoltrò
domanda di rinunzia al vescovado e più volte gli venne rifiutata. La rinunzia
venne accettata il 26 giugno 1775, dopo tredici anni
di lavoro intensissimo. Alfonso si sentiva sollevato... Lasciò la diocesi povero come vi era entrato. Aveva speso tutto
per i poveri, nulla per i parenti e nipoti. E neanche per i suoi Redentoristi.
Si ritirò nella quiete di Pagani senza pretese: Mi basterà quel carlino che
mi guadagno con la messa per comprarmi quel poco di minestra che mi mangio.
La dolorosissima artrosi, che da tempo lo aveva
preso e lo aveva indotto alla rinunzia del vescovado, ora lo mise in croce.
Gli deformò le vertebre del collo costringendolo a restare col collo piegato al petto. Soffriva molto. Ma
non furono le sofferenze del corpo ad abbattere il santo vecchio, bensì
quelle di ordine spirituale: gli scrupoli, che lo assalirono violentemente, e
le vicende della sua Congregazione. La Congregazione aveva la Regola
approvata dal Papa Benedetto XIV nel 1749. Nel regno di Napoli, però non
aveva ottenuto l'exequatur, cioè il benestare.
Le
trattative durarono a lungo e furono la croce di Alfonso: che a causa della
malattia aveva affidato la faccenda al Padre Maione,
in cui riponeva assoluta fiducia.
Purtroppo quando si trattò di venire al concreto ci fu un tradimento. Per
ottenere il regio exequatur la Regola fu
contraffatta in più punti: non era più la Regola di Benedetto XIV, bensì un
Regolamento regio. Questo "tradimento" seminò la costernazione
nella Congregazione.
Inoltre i
rapporti politici tra Regno di Napoli e Stato Pontificio erano molto
incrinati; qualcuno dei Redentoristi dello Stato
Pontificio soffiò addirittura sul fuoco e la cosa precipitò. Il Papa
intervenne, dichiarando che le case del regno, in cui stava Alfonso, non
appartenevano più alla Congregazione, la quale
continuava ad esistere in maniera ufficiale nello Stato Pontificio. La misura
era colma: da Fondatore che era Alfonso si trovò escluso da quella
Congregazione che era la pupilla dei suoi occhi. Alfonso sul calvario esclamò
tutto rassegnato: Non voglio che Dio solo, e mi basta
non perdere la grazia di Dio.
Così vuole il Papa, che Dio si benedetto! Era il 1780. Gli rimanevano ancora
sette anni di calvario nel corpo e nello spirito.
Ma egli aveva fede: Dopo la mia morte tutte le difficoltà si appianeranno. La
riunione avverrà, ma solo dopo la mia morte. Il 23 luglio 1787 il
suo stato di
salute, si aggravò fortemente ed egli ricevette per la sesta volta gli ultimi
sacramenti. Il 1° agosto alle ore dodici, circondato dai
suo figli redentoristi, da amici parenti e
confortato dalla visione della Madonna, Alfonso passò da questo mondo a Dio,
mentre le campane suonavano l'Angelus.
Aveva quasi 91 anni. I funerali furono solennissimi. Una folla di oltre 10.000 persone vi
partecipò e rese omaggio a quell'uomo che aveva
speso la sua lunga vita per il bene della Chiesa.
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La
salma fu tumulata nella chiesa di S. Michele dei Redentoristi,
che lui stesso aveva disegnato e fatta costruire. Alfonso fu dichiarato
Beato da Papa Pio VII il 15 settembre 1816. Gregorio XVI lo annoverò nel
numero dei santi il 26 maggio 1839. Pio IX lo decorò del titolo di Dottore della Chiesa il 23 marzo 1871. Pio XII lo elesse a Patrono di tutti i confessori e moralisti il 26 aprile
1950.
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Quanno nascette Ninno
Quanno nascette Ninno a Bettelemme
era notte e pareva mezzo juorno.
Maje le stelle lustre e belle
Se vedettero accussì
E a chiù
lucente jiett’a chiammà
Li Magge e l’Uriente
De Pressa se scetaiono
L'aucelle
de na forma tutta nova.
Pensi a grille coli strille.
E zombanno
acca e a là,
è nato, è nato decevano
lo Dio che si c'acriato.
A meliune
l’angiule calare
Co chiste
se metteten'a cantare
Gloria a Dio, pace' n
terra,
nucchiù guerra, è nato
già lo Rè d'amore
dà priezza e pace
S.Alfonso de' Liguorì
Visite
al Santissimo Sacramento
e a Maria Santissima
di S.Alfonso
de’ Liguori (file.zip)
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